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Eccole qua, Eleanor and Barbara, rispettivamente la moglie e la figlia di Harry Callahan. La foto a un primo sguardo non è diversa da quelle che potremmo incontrare nei cassetti o negli album di famiglia di nonni e genitori.

Harry Callahan, Eleanor and Barbabra, Chicago, 1954.

Harry studia ingegneria alla Michigan State University e sviluppa un forte interesse per la fotografia durante gli anni di servizio alla Chrysler Motors. Dal 1946, grazie a László Moholy-Nagy (uno dei maggiori esponenti del Bauhaus) che ne intuisce le notevoli qualità, viene chiamato come docente di fotografia presso il Chicago Institute of Design (e diverrà in seguito direttore di quel dipartimento).
In questi anni conosce artisti e creativi come Hugo Weber, Mies van der Rohe, Aaron Siskind ed Edward Steichen, che contribuirono a influenzarlo e a definire alcune delle caratteristiche salienti del suo sguardo.

Tornando a Barbara e Eleanor, allo scatto che le ritrae immobili, frontali, al bordo di una strada qualunque di Chicago, la prima cosa che salta agli occhi è la grande quantità di linee visibili in questa fotografia. Si nota subito un rigore che non ti aspetteresti in uno scatto che racconta la dimensione privata, familiare, dell’autore.
Il palo scuro, solido, materico, vagamente prepotente, o meglio, in qualche modo austero, ingloba l’asse centrale del frame e tiene insieme l’immagine cercando inutilmente di darle propulsione, come l’albero maestro di un vascello sprovvisto di vele. Quello che vediamo è l’esatto contrario della percezione di movimento. La foto rivela un’immobilità totale che va ben oltre il senso di congelamento del tempo proprio dell’atto fotografico. La fissità a cui assistiamo è innaturale e la propulsione si riduce a uno stato mentale, un moto di allontanamento frustrante da qualsiasi presa, un’impressione urticante d’incompiutezza per la difficoltà di agguantare concettualmente il senso complessivo dell’immagine.

Proviamo a farlo con il bagaglio che abbiamo a disposizione, andando ad analizzare ciascuno di questi aspetti.
Partiamo dalle linee. Le verticali scandiscono il ritmo come fosse una partitura, mentre la curva della strada corre parallela a quella del muro, che si squaderna seguendone l’andamento e genera un ampio abbraccio rotatorio  (ben oltre la cornice) intorno al perno centrale a mo’ di cabassa o raganella, incapace però di produrre alcun suono.
“Less is more”, un bisogno di sintesi che si innesta sulle lezioni del Bauhaus, la voglia di astrazione e l’adesione a certi dettami di stampo modernista: il risultato è un reticolo spoglio e sghembo, fatto di linee che cominciano e poi scompaiono, alcune si piegano morbide e altre ancora vengono marcate con passaggi su passaggi, dal pennarello nero delle ombre.

Questa attitudine è innata nell’occhio di Callahan. Influenzato da Ansel Adams, proverà a dedicarsi agli eroici paesaggi del West, ma finirà per fare i conti con se stesso e ammettere di essere altro:

«…dal profondo del mio midollo puritano c’è qualcosa che odio in tutta questa opulenza. Amo l’aspetto austero, immacolato e monotono dei paesaggi grigio-perla». [1]

Spiccano ambigue, quasi disturbanti, le due figure della bambina e della donna, in questo scenario spoglio e privo di contesto: sembrano figurine posticce, ritagli di giornale minuziosi appiccicati con la colla, dove il bianco e nero marcatamente cupo, osservato oggi, ci porta altrove a certe atmosfere e scenografie del cinema espressionista tedesco.
C’è un altro aspetto di questo cortocircuito fra immagine-ricordo tipica degli album di famiglia e una sintesi al limite dell’astrazione, un effetto molto probabilmente non voluto, ma che non riesco a togliermi dalla testa. Eleanor and Barbara, Chicago, 1954 è una di quelle fotografie dove il silenzio e l’immobilità sono capaci di atterrire e mi rimanda a un’altra immagine a cui tengo particolarmente, New Mexico, 1957 di Garry Winogrand. Di questa fotografia, anni fa, mosso dalle riflessioni di Carl Chiarenza, scrivevo:

«Questa immagine nella sua totale assenza di azione, indica la percezione di un presagio, qualcosa che resta sospeso per sempre nell’attimo immediatamente precedente all’inevitabile, che sembra poter succedere, sebbene non se ne conosca la natura e sebbene poi non succeda mai.»

Garry Winogrand, New Mexico,1957.

Chiarenza riguardo a questo e a un altro scatto dello stesso autore, ha usato parole che non scorderò facilmente:

«Sono immagini agghiaccianti, eppure non c’è nessun reale “segno” di violenza, neanche di disgrazia. Sono tra le fotografie più immobili che io conosca. Hanno un’aura di malvagità latente che comunica ansietà, la sensazione di essere in presenza di una forza sconosciuta che sta per palesarsi.» [2]

Per quanto riguarda Callahan, rispetto alle inquadrature del tormentato fotografo newyorkese, la forte inquietudine è legata ad aspetti più prettamente formali, che caratteriali: un’austerità della composizione che esclude qualsiasi suono o atto, accentuata ulteriormente da una frontalità lapidaria che trasforma l’immagine in una sorta di bassorilievo, qualcosa scolpito nella pietra per sopravvivere ai passaggi del tempo. Inoltre, come fa intendere anche Elio Grazioli, questa commistione di caratteri in antitesi nello stesso frame, indica un confine che il fotografo di Detroit, pur restando fedele in fatto di sperimentazioni al proprio imprinting culturale, sta oltrepassando in questi anni, spostando il centro dei suoi interessi artistici verso la dimensione privata degli affetti.

«…Callahan cambia rotta allo scoccare degli anni ’50 e proprio intorno a un coinvolgimento riguardante la figura umana. E comincia infatti a fotografare la moglie Eleanor e poi la figlia Barbara. All’inizio è perfettamente aderente all’estetica modernista, arrivando fino a sovrapporre manifestamente e letteralmente il corpo di Eleanor al dettaglio di un paesaggio o di una natura morta, ma più avanti l’approccio cambia e diventa più aperto allo spazio e all’ambientazione.» [3]

Harry Callahan, Eleanor and Barbara.

Harry Callahan, , Eleanor and Barbara in the Water 1952-1953.

Harry Callahan, Eleanor and Barbara in the Water, 1952-1953.

Harry Callahan, Eleanor and Barbara, Chicago Harry Callahan, 1953.

In questa e in altre fotografie del suo nucleo familiare, Callahan sceglie la frontalità e una distanza considerevole dai soggetti, che finiscono per sembrarci presenze enigmatiche immerse nel paesaggio. Questo da un lato, e personalmente, mi fa sorridere e mi mette addosso una certa malinconia. Mi ricorda le foto che faceva mio padre durante le nostre vacanze in famiglia. Non riusciva a concepire di fissare un paesaggio sulla pellicola senza inserirvi all’interno le figure lillipuziane di mia mamma, di mia sorella e del sottoscritto, tanto piccoli rispetto al contorno da risultare il più delle volte irriconoscibili. E alla domanda sul perché lo facesse, rispondeva stizzito: «Le foto senza nessuno sono noiose da guardare!»
Una scelta sentimentale, ingenua e a modo suo bellissima, che rimanda alla tenerezza della fotografia vernacolare.

Harry Callahan, Eleanor and Barbara, Chicago, 1954.

Ma visto che siamo in presenza di un fotografo come Callahan, che farà dell’indagine visiva intorno alla sfera sentimentale e personale la cifra stilistica di gran parte del suo lavoro, vorrei arrischiarmi a ipotizzare che questo continuo avvicinarsi creando immagini calde, piene di umanità e poi di nuovo allontanarsi mostrando le due donne della sua vita tanto lontane da scomparire quasi o da diventare concetto, pura astrazione, assomigli a un dialogo, a una danza dei sentimenti, un continuo aggiustare la prospettiva, correggerla, riconsiderarla per mettere a fuoco nel modo più adeguato il poco che davvero merita di essere osservato nella vita.

«L’idillio famigliare, pretesto delle immagini, finisce col diventare infine argomento vivo nell’opera di Callahan, che riesce a restituirne un’immagine nuova e anticonvenzionale, che soprattutto sottolinea lo stretto nuovo legame che l’attività estetica ricerca con la vita, con la vita personale e privata dell’artista. È questa implicazione più esistenziale a diventare nei modi più diversi la vera controparte della ricerca estetica più formalista anche negli anni seguenti, quando l’arte, e con essa la fotografia, se da un lato si farà “autoreferenziale” e “concettuale”, dall’altra cercherà il coinvolgimento massimo con la realtà e la vita.» [4]

Harry Callahan, Eleanor and Barbara,1953.

Perché come diceva il buon Lee Friedlander:

«Sospetto che si guardi ai propri dintorni e a se stessi per il proprio interesse. Questa ricerca è nata da un desiderio personale ed è la mia ragione e motivo di fare fotografie.» [5]

Evidentemente, non accadeva solo a lui.

 

 

Alessandro Pagni

 

[1] Storia della fotografia, a cura di J.-C. Lemagny – A. Rouillé, Firenze, Sansoni, 1988, p.153.
[2] C. Chiarenza, Restando all’angolo. Riflessioni sullo sguardo fotografico di Winogrand: specchio di sé o del mondo?, in Documenti e finzioni. Le mostre amricane negli anni Sessanta e Settanta. Istituzioni e curatori protagonisti fra East Coast e West Coast, a cura di M. A. Pellizzari, Torino, Agorà editrice, 2006, p.159.
[3] E. Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, Milano, Mondadori, 2000, p. 218-219.
[4] E. Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, p.219-220.
[5] Lee Friedlander, Self-Portrait. Introduzione in Documenti e finzioni. Le mostre americane negli anni Sessanta e Settanta. Istituzioni e curatori protagonisti fra East e West Coast, a cura di M.A. Pellizzari, Agorà editrice, Torino 2006, pp. 244-245.