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Portrait of Garry Winogrand

Portrait of Garry Winogrand

di Alessandro Pagni

 

Ieri una cara amica mi ha scritto in merito al post Miti da sfatare e strade da asfaltare, soffermandosi su Winogrand e le due celebri immagini che ho citato nel testo: Los Angeles, California, 1969 e G. New Mexico, 1957, domandandomi:

c’è un voler stare fuori dal mondo, secondo te, in quella luce?

una distopia voluta?

Quella luce, a mio parere, è l’elemento cardine per definire la cifra stilistica di Garry Winogrand: una luce fredda da tavolo d’obitorio, tramite cui registrare il mondo e dissezionarlo nelle sue zone d’ombra, nelle sue contraddizioni stridenti. Sembra che la posizione del suo sguardo sia sempre stata per certi versi aliena, come se si trovasse davanti a un gigantesco formicaio chiuso in una teca e avesse la possibilità di studiarlo senza interferire con la propria presenza. Ripenso ai miei studi universitari, in particolare a quell’incredibile sintesi del vivere umano che è Los Angeles, California, 1969: una luce che divide invece di unire, sotto lo stesso cielo; tre donne belle e imbellettate, con la loro presenza altezzosa, con la prepotenza del loro misurare il mondo in base ai canoni della società borghese e quasi acide nel loro voler essere guardate e allo stesso tempo sentirsi offese dagli sguardi altrui; un uomo sulla sedia a rotelle che chiede l’elemosina a capo chino mentre un bambino dal lato opposto, con occhi di bambino, si volge a contemplare quello che succede; dietro di loro un uomo e una donna che passeggiano e non parlano più. I raggi del sole, insinuandosi violenti, fra le gambe delle donne, imitano la scansione di stelle con i nomi delle celebrità, che decorano la pavimentazione del Boulevard.
Quel bambino che osserva il mondo è Winogrand, prima che il tempo lo ferisca irrimediabilmente (cosa che prima o poi capita a tutti), strappandogli la purezza dagli occhi:  e il suo “io” fotografo, al di fuori della scena, sembra voler prendere le distanze da tutto questo, sembra non volerne fare parte.
Sembra riuscire a contemplare il mondo, come ho scritto per il lavoro della Kepule, in totale assenza di giudizio, lasciando che sia esso a venirgli incontro disposto a farsi interpretare.
Ma quello che penso riguardo al disincanto nelle sue fotografie, è che sia qualcosa di istintivo, meno consapevole di quanto si possa pensare, difficilmente cercato e tantomeno “composto ad arte”: Garry Winograd, spirito fragile, uomo introverso e a tratti goffo, pieno di insicurezze e paure, non ha fatto altro che registrare quello che scivolava liquido davanti ai suoi occhi, isolando in modo quasi conpulsivo, veri e propri frame di vita, senza neppure prendersi la briga, a volte, di sviluppare i suoi rullini, come se il gesto del “taglio” perpetrato dall’otturatore, fosse sufficiente a dargli sollievo.
Non un ego al di sopra delle parti quindi, non un autore consapevole, ma un individuo che si poneva, forse, un gradino sotto agli altri: come scoprirsi piccolo in un mondo di giganti e rendersi conto che i giganti sono orribili, patetici e disperati.
La rivelazione formato tascabile del fallimento umano.

G. Winogrand, New Mexico, 1957

G. Winogrand, New Mexico, 1957

Riguardo all’immagine New Mexico, 1957, avevo già avuto occasione di scrivere ai tempi di Foto For Fake un post interamente dedicato a quello scatto (che vi invito a rileggere), dove mi esprimevo in questo modo:

C’è un silenzio definitivo che avvolge questa fotografia, un silenzio di gelatina d’argento che si somma ai lunghi silenzi di un uomo spaventato, dai troppi fallimenti personali che hanno minato la sua esistenza, dall’impressione di instabilità che prova nei confronti del periodo storico che sta attraversando la sua nazione e dall’inadeguatezza, dalla peculiarità ferina dell’essere umano, che in ogni suo scatto diventa sempre più evidente.
Questa immagine, nella sua totale assenza di azione, indica la percezione di un presagio, qualcosa che resta sospeso per sempre nell’attimo immediatamente precedente all’inevitabile, che sembra poter succedere, sebbene non se ne conosca la natura e sebbene poi non accada mai.

 

 

 

 

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